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al testo di Ivan Pozzoni
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Mi chiamavano schizofrenico, ero un malato, da manuale, ora sto steso su un filo elettrico ché nel mio mondo non ci so stare.
Quarant'anni rinchiuso in me stesso, vaso inchiodato tra i fiordalisi, son molti a contarsi, son molti a scordarsi, vorrei viver normale, rincorrendo la crisi.
Ventun'ore son tante, tra milleduecentosessanta minuti e settantamila secondi, mi mancan le forze, non sento le braccia, contando i miei battiti in attesa che affondi, che sprofondi nel vuoto senza molti sorrisi della fine imminente, rincorrendo la crisi.
Nelle vicinanze d'una casa di cura di nome Villa Serena, - mi domando che vi sia di sereno, nel ricovero d'uomini scivolati in cancrena-, dondolo da un traliccio dell'alta tensione, afferrando con dita veloci le notizie della televisione.
Parte inattiva statistica della nostra nazione senza nessun imbarazzo, mi son sentito in diritto di reclamare un lavoro, urlando: «altrimenti m'ammazzo», e, coerente, almeno una volta, alla solennità dei miei avvisi mi buttai dalla vita, rincorrendo la crisi.
[Scarti di magazzino, 2013] |
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